L'anno è iniziato di martedì e questo è il secondo lunedì del mese.
Nell'ordine (sparso) -dall'inizio di questo anno- è successo che è morto un uomo con il quale ho avuto una brevissima storia di sesso e amicizia nella primavera del duemilaquattordici,
per la prima volta, (appena pochi minuti fa) ricevo una telefonata da mio figlio.
Mi ha chiamata da un telefonino che gli è stato gentilmente concesso dal mio compagno per dirmi che al parco ci sono pochi bambini (n.b. nevica) ma che lui ci resterà comunque a farsi due tiri a pallone.
Avrà 8 anni tra un paio di mesi.
Oltre alla morte di questo padre svedese, che nell'attesa di un nuovo cuore, ha lasciato un bambino dell'età di mio figlio e alla fortuna che (io, intanto) ho avuto nella possibiltà di sentire l'emozione della voce di mio figlio che per la prima volta compiva un gesto da adulto,
dall'inizio di quest'anno,
è successo che ho ritrovato uno scontrino con data 26.11.2013.
Stavo rovistando in una Moleskine color senape perché cercavo il passato ai giorni nostri.
(non era per una cena di qualche compleanno di mio padre)
Un scontrino emesso da un registratore di cassa del Clärchen Ballhaus.
Mio figlio, all'epoca (supportate la scelta di "EPOCA" ve ne prego)
aveva da qualche mese iniziato ad andare al nido.
E non era ancora arrivato alla famosa stagionatura dei 30 mesi.
Io mi accingevo
(in compagnia di una donna bellissima che da più di un anno mi ha partorito una nipotina che ho da subito deciso di acquisire)
ad andare ad uno Stammtisch.
Andatevi a cercare cos'è uno Stammtisch perché se mi metto a spiegarvelo poi mi passa la poesia.
E già mi sta passando.
Comunque era solo per dire che STAVO USCENDO.
Stavo andando a questo incontro (ecco: bastava una parola per spiegare),
con questa donna bellissima,
in questa balera berlinese.
Lo scontrino è solo una traccia di quella fuga da casa.
Avevo ordinato un Cosmopolitan.
Credo il primo da quando avevo smesso di allattare quella forma di grana che superava i due anni di stagionatura.
Un bambino biondo oro che ora è moro e si emoziona perché va da solo al parco pure d'inverno.
Cosa ho pensato quando ho saputo che quell'uomo tanto dolce, quanto attento a suo figlio ma anche a me e a mio figlio, era morto?
Ma se io a quello lì mi ci legavo?
Se succedeva che andare a letto mentre i bambini guardavano i cartoni nel favoloso mondo dei 3enni ci sarebbe piaciuto così tanto da farci una storia?
E se quella storia diventava qualcosa di bello e mio figlio si ritrovava con un papà svedese che poi moriva?
E se io oltre ad una separazione e ad un marito di merda avrei dovuto superare anche un lutto?
Ho benedetto il giorno in cui dissi, tra una confidenza in tedesco ed una in inglese, a quel padre svedese che probabilmente mi ero innamorata di un ragazzo un po' più giovane di me, tredici anni meno di lui e lo svedese, con una foto tra le mani mi disse "guarda com'è giovane!"
"Ed occhio e croce è pure più bello di me!"
"Se sei innamorata di lui, diglielo!"
Meno male che quell'atteggiamento rilassato e maturo, mentre probabilmente stava ancora a letto a toccarmi il culo, non abbia aperto in me spiragli che mi facessero intravedere una vita felice assieme allo svedese che avrebbe parlato fisso in inglese sia a mio figlio che al suo.
Perché, mi continuo a ripetere: "poi, mi sarei dovuta accollare pure il lutto!"
Dalle parole sembro cinica?
Probabilmente alcune cose mi hanno resa tale.
Per la cronaca: mio figlio dal parco è rientrato già da un po' e nel frattempo mi ha anche chiamata una seconda volta.
L'anno è iniziato di martedì.
Oggi è il secondo lunedì del duemiladiciannove
ed io sto facendo i resoconti del nuovo anno più che di quelli dell'anno precedente che, ahimè, sarà sempre quello in cui mi sono fatta un culo quadrato come una casa e nonostante ciò non sono riuscita ad entrare all'università a Berlino.
Due settimane.
lunedì 14 gennaio 2019
martedì 4 settembre 2018
-da dentro alla stanchezza, di lato alla germania.
Sto qua fuori al ginnasio.
Persa.
Confusa.
Attendo.
Non entro.
Stanca.
Con la voglia di seguire il mio corpo, i miei bisogni.
Con la voce dal sapore che sa di responsabilità.
Incatenata nei dubbi.
Nella paura del giudizio.
Non mi sento mai abbastanza.
Mi leggo.
Provo ad osservarmi da fuori.
Mi rimbomba in testa solo una voce:
"non impari mai!"
Sono parole mie?
Torno a metà.
Il ginnasio di Pankow è sempre davanti a me.
Immobile.
Lui non si muove mai.
Non è come me.
Mi alzo,
solo con la mente.
Vado verso la strada.
Ritorno sul cammino.
Sempre attenta,
con un occhio al cuore
e l'altro alla voglia di ribellarmi.
Perché dentro ai compartimenti stagni io non riesco a farmi posto.
Io non c'entro.
Non ci entro.
Persa.
Confusa.
Attendo.
Non entro.
Stanca.
Con la voglia di seguire il mio corpo, i miei bisogni.
Con la voce dal sapore che sa di responsabilità.
Incatenata nei dubbi.
Nella paura del giudizio.
Non mi sento mai abbastanza.
Mi leggo.
Provo ad osservarmi da fuori.
Mi rimbomba in testa solo una voce:
"non impari mai!"
Sono parole mie?
Torno a metà.
Il ginnasio di Pankow è sempre davanti a me.
Immobile.
Lui non si muove mai.
Non è come me.
Mi alzo,
solo con la mente.
Vado verso la strada.
Ritorno sul cammino.
Sempre attenta,
con un occhio al cuore
e l'altro alla voglia di ribellarmi.
Perché dentro ai compartimenti stagni io non riesco a farmi posto.
Io non c'entro.
Non ci entro.
sabato 21 luglio 2018
-femminista repressa.
In questi giorni commentavo un post difendendo *i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori* e mi sono scontrata (purtroppo solo su Facebook) nell'ordine: con un amico Harry Daje, uno sconosciuto, l'ex di una mia carissima amica.
Nell'ordine sono stata: rompi palle,
permalosa,
una con due grandi coglioni,
una da zittire con un "vaffanculo matta!!",
femminista repressa
e anche qualche altra cosa.
Tra le righe,
questo lo so,
molto altro.
Sono stati tre maschi. Non me la sento di chiamarli uomini. Proprio no. Nemmeno il mio amico, ahimè. Con tutto l'affetto. Non sento di essere incazzata. Sono piuttosto amareggiata invece. Una cosa accomuna queste tre persone: l'età.
Tante volte mi sono voluta illudere pensando di dover combattere, insieme anche alle mie compagne, solo "i padri".
Ma invece ho scoperto un po' sola, un po' insieme a loro, attraverso il sostegno e il confronto, che anche le nostre madri sono ancora ammalate di maschilismo. Che i nostri fratelli, gli amici e i cugini, sono spesso ignoranti quanto i nostri nonni. Alcune volte, di più.
Le altre donne, non sempre sono cresciute in contesti che hanno loro favorito il confronto e il supporto tra donne.
Sono loro, più di tante altre, a storcere il naso di fronte alle mie ascelle pelose.
Sento gli sguardi pesare. Hanno il sapore dell'incredulità mista a pena. Come se io -purtroppo, secondo loro- rinunciassi, con la mia scelta, alla mia femminilità. È storia vecchia. Magari riuscissi a tenermi anche le gambe pelose. Ma di strada devo farne anche io ancora molta.
Nell'ordine sono stata: rompi palle,
permalosa,
una con due grandi coglioni,
una da zittire con un "vaffanculo matta!!",
femminista repressa
e anche qualche altra cosa.
Tra le righe,
questo lo so,
molto altro.
Sono stati tre maschi. Non me la sento di chiamarli uomini. Proprio no. Nemmeno il mio amico, ahimè. Con tutto l'affetto. Non sento di essere incazzata. Sono piuttosto amareggiata invece. Una cosa accomuna queste tre persone: l'età.
Tante volte mi sono voluta illudere pensando di dover combattere, insieme anche alle mie compagne, solo "i padri".
Ma invece ho scoperto un po' sola, un po' insieme a loro, attraverso il sostegno e il confronto, che anche le nostre madri sono ancora ammalate di maschilismo. Che i nostri fratelli, gli amici e i cugini, sono spesso ignoranti quanto i nostri nonni. Alcune volte, di più.
Le altre donne, non sempre sono cresciute in contesti che hanno loro favorito il confronto e il supporto tra donne.
Sono loro, più di tante altre, a storcere il naso di fronte alle mie ascelle pelose.
Sento gli sguardi pesare. Hanno il sapore dell'incredulità mista a pena. Come se io -purtroppo, secondo loro- rinunciassi, con la mia scelta, alla mia femminilità. È storia vecchia. Magari riuscissi a tenermi anche le gambe pelose. Ma di strada devo farne anche io ancora molta.
domenica 15 luglio 2018
-la Valle della Luna e i ricordi.
Quasi tutte le estati, ma non solo, mi capita di fare foto pazzesche e diventare gelosa di quello scatto che, altro non è, che un ricordo indelebile.
Ho anche iniziato a non scattare nemmeno più.
Per conservare nella memoria.
Ancora più forte.
Piccolissimi pezzetti di vita che riusciamo, negli anni, a mutare.
Tutte quelle volte che, con gli occhi della mente, un'immagine diventa ricordo.
C'è mio padre che, ogni mattina, per due mesi, nel '96, mi ha portata con il cannotto, le nostre maschere con i boccagli e le pinne a guardare i pesci, sull'isoletta di Lanta Bay a Ko Phi Phi.
Domani ci sarò io che tengo Vincenzo, in equilibrio, e con lui mi butto in mezzo a quella Valle marina di un immenso blu turchese.
Lui che mi tocca, mi dice che sono comoda, per appoggiarsi, quando è stanco di nuotare.
Ho anche iniziato a non scattare nemmeno più.
Per conservare nella memoria.
Ancora più forte.
Piccolissimi pezzetti di vita che riusciamo, negli anni, a mutare.
Tutte quelle volte che, con gli occhi della mente, un'immagine diventa ricordo.
C'è mio padre che, ogni mattina, per due mesi, nel '96, mi ha portata con il cannotto, le nostre maschere con i boccagli e le pinne a guardare i pesci, sull'isoletta di Lanta Bay a Ko Phi Phi.
[ "Valle". Capo Testa.
Luglio '18. Serena Palomba]
Domani ci sarò io che tengo Vincenzo, in equilibrio, e con lui mi butto in mezzo a quella Valle marina di un immenso blu turchese.
Lui che mi tocca, mi dice che sono comoda, per appoggiarsi, quando è stanco di nuotare.
sabato 30 giugno 2018
-poesia moderna.
e viceversa,
che c'hai da giorni e giorni,
davanti agli occhi,
quattro
cinque
e poi sei
formulari online,
per diverse candidature universitarie
a numero chiuso,
perché sei stata una capra a scuola
e stai pagando le conseguenze
perché qui è tutto* a numero chiuso,
quella situazione in cui dalla valeriana passi al caffè,
e viceversa.
sabato 2 giugno 2018
-piccolissime libertà.
Restavo fedele a mio padre che non mi voleva con piercing o tatuaggi.
Volevo somigliargli in qualche modo. Volevo somigliare a lui che aveva quelle due placchette simmetriche dietro la nuca che sembravano spaccargli il corpo a metà.
Ci davamo baci e facevamo l'amore da pochissimi giorni. Con gli occhi chiusissimi mi feci lasciar trapassare l'ago nel labbro. Un secondo.
In questo autoscatto sono piccola ma felice nel sentirmi grande per aver conquistato una piccolissima libertà. Lui ancora lo tenevo segreto.
Sono stati anni pazzeschi. Intensi come questi temporali che in questi giorni ci stanno bagnando qui a Berlino. L'amore è una cosa che toglie il fiato ed io dopo 4 anni sento ancora quella cosa che ti succede quando ti stai innamorando.
Volevo somigliargli in qualche modo. Volevo somigliare a lui che aveva quelle due placchette simmetriche dietro la nuca che sembravano spaccargli il corpo a metà.
Ci davamo baci e facevamo l'amore da pochissimi giorni. Con gli occhi chiusissimi mi feci lasciar trapassare l'ago nel labbro. Un secondo.
In questo autoscatto sono piccola ma felice nel sentirmi grande per aver conquistato una piccolissima libertà. Lui ancora lo tenevo segreto.
Sono stati anni pazzeschi. Intensi come questi temporali che in questi giorni ci stanno bagnando qui a Berlino. L'amore è una cosa che toglie il fiato ed io dopo 4 anni sento ancora quella cosa che ti succede quando ti stai innamorando.
lunedì 30 aprile 2018
-cuccetta 27.
Il tramonto e il treno che fischia.
La quiete. Il movimento delle carrozze che culla.
Un signore anziano accende la piccola luce sopra la sua testa.
Sta leggendo.
Ha dei baffi e un paio di pantaloni di velluto.
Voleva aiutarmi a tirar su lo zaino.
Sono cose galanti che a me appaiono come retrograde.
Lo zaino non era poi così grande.
Il treno continua a fischiare. Senza apparente motivo.
Ed io immagino un uomo, simile a quello che ho di fronte, che tira una cosa, forse di stoffa, e fa fischiare il treno.
Come se sfiatasse.
Alcune persone tossiscono.
Il treno ha rallentato e nelle cuccette arriva un odore quasi rancido.
Che entra nella bocca.
Somiglia alle gomme bruciate.
Il sole ormai è calato.
Siamo immersi tra gli alberi.
Imperterrito, l'uomo (perché non una donna?), continua a far fischiare il treno.
E pare di stare in un cartone animato per bambini.
Siamo ancora in Polonia e tutto pare tacere.
Le persone nelle case staranno mettendo i bambini a letto.
Ed io da qui, alzando lo sguardo, ho catturato un fuoco tra le nuvole.
L'ultimissimo.
La quiete. Il movimento delle carrozze che culla.
Un signore anziano accende la piccola luce sopra la sua testa.
Sta leggendo.
Ha dei baffi e un paio di pantaloni di velluto.
Voleva aiutarmi a tirar su lo zaino.
Sono cose galanti che a me appaiono come retrograde.
Lo zaino non era poi così grande.
Il treno continua a fischiare. Senza apparente motivo.
Ed io immagino un uomo, simile a quello che ho di fronte, che tira una cosa, forse di stoffa, e fa fischiare il treno.
Come se sfiatasse.
Alcune persone tossiscono.
Il treno ha rallentato e nelle cuccette arriva un odore quasi rancido.
Che entra nella bocca.
Somiglia alle gomme bruciate.
Il sole ormai è calato.
Siamo immersi tra gli alberi.
Imperterrito, l'uomo (perché non una donna?), continua a far fischiare il treno.
E pare di stare in un cartone animato per bambini.
Siamo ancora in Polonia e tutto pare tacere.
Le persone nelle case staranno mettendo i bambini a letto.
Ed io da qui, alzando lo sguardo, ho catturato un fuoco tra le nuvole.
L'ultimissimo.
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