giovedì 7 settembre 2023

-Giovanna, Manuela ed altre persone.

Tre anni.

Quasi.

Ottobre, Settembre.

Il computer sulla cosce.

La tastiera.

Tutte le dita posizionate nella maniera più funzionale.

Non è possibile raccontare cosa è accaduto da ottobre a settembre.

Nei tre anni in cui nulla mi ha portato fortemente ad aprire la mia prima scheda preferita quando apro una pagina Google.

Surya Scrive.

Blogspot.

L'avessi aperto oggi, di certo avrei utilizzato uno spazio differente.

Ho ancora voglia di lasciare che delle persone sconosciute leggano di me?

Quanto è cambiata la mia percezione del mondo in questo tempo?

Se si scorre a ritroso nei post è chiaro subito che tra anni fa, quattro, cinque, già non ero più propensa a questo esercizio mentale ed emotivo della scrittura lasciata liberamente sotto gli occhi di innumerevoli persone senza faccia, senza identità.

Dieci anni fa avevo addirittura "un pubblico".


Scrivere è stata quella cosa che, spesso, mi ha permesso di non lasciarmi morire.

Di tenere vivo un contatto con me stessa.

Ho conosciuto, scrivendo, la persona che amo.

Ho utilizzato questo come mezzo per dichiararmi, per mostrargli che - seppure davanti aveva una persona distrutta dalla vita che ancora non era passata- sapevo amarmi, bastarmi, trovarmi.

Sono sempre stata certa del messaggio che desideravo veicolare.

Indifferentemente da coloro che mi avrebbero letta.

Un nuovo esercizio, al momento, risulta essere il gioco del femminile. Declinare.

C'è chi lo faceva già moltissimi anni fa.

2007 - Socialismo Rivoluzionario, La Comune.

Giovanna!

Jessy, te la ricordi a Giovanna?

Dov'è? Cosa farà? Avrà circa 45 anni oggi, giusto?

Poi ce n'era un'altra che si chiamava Manuela.

Era una fica pazzesca, lei, per me che avevo appena compiuto 16 anni e avere delle ragazze universitarie -fuori corso- che mi chiamavano al telefono e mi dicevano le cose con affetto sincero era tipo come stare sulla luna.

Oggi ho molti più anni di quelli che avevano Giovanna e Manuela quando assieme facevamo i pomeriggi di studio e lavoro ed io facevo notar loro che con tutto quel "LE COMPAGNE ED I COMPAGNI, LE MIGRANTI ED I MIGRANTI, LE LETTRICI ED I LETTORI" il discorso si inceppava, la lettura mi risultava fastidiosa e il desiderio di inclusione per me non passava da un elaborato scritto.

Stamattina, mentre la terza persona che ho messo al mondo dorme, io non voglio studiare "Psicometria ed Analisi dei Dati".

Ora ho bisogno di riappropriarmi di questo esercizio per l'anima, del ticchettio delle mie dita sul computer, del privilegio di non essere interrotta.

Chi svolge quotidianamente e senza alcuna retribuzione un lavoro di cura sa bene quanto valore abbiano i momenti di silenzio.

Quanto vale la noia? 

Che non sappiamo nemmeno più descriverla, se non a loro che sono piccolə e che quando questa sopraggiunge si lamentano con noi.

Mi sono iscritta all'università.

A dicembre compirò 34 anni.

Sono nuovamente sposata.

Adesso sono felice di questo matrimonio.

Alle spalle ho alcune cose che chi ha la mia età non sempre capisce: un divorzio (con tutto quello che ALCUNE volte tutto questo comporta), 3 gravidanze + 3 figlə.

Lo specifico perché non è scontato. Perché conosco la vita di chi ha adottato e anche quella di chi una gravidanza l'ha vissuta (anche fino alla fine) senza poi ritrovarsi unə figlə da crescere, amare.

Amare toccandolo.

Perché mi immagino che si continui ad amare. 


Da qualche parte.


Passare da un argomento ad un altro come ho fatto io ora si chiama "flusso di coscienza" ma può essere definito diversamente.

Dipende forse dal contesto?

Personalmente non sono nemmeno troppo in grado di definire questo contesto attuale.

Sì, mi piacerebbe riavere una sorta di pubblico. 

Come nel duemiladodici. Ma prima non ti guardavano troppo male se spammavi una roba tua nelle chat, se disturbavi, se invadevi spazi.

Non so dire se siamo cresciutə noi tuttə oppure se é il mondo che è diventato più rispettoso.

Userò l'instagram.

E poi vi controllerò cliccando su "statistiche".

E quando leggerò che anche solo UNA persona avrà visualizzato, sarò soddisfatta.

Amen.

giovedì 1 ottobre 2020

-Aderire ai luoghi.

 Restare aderente a se stesse non è cosa semplice. 

Accettare e prendersi la responsabilità di ciò che può o non può accadere quando si sceglie di restare aderenti a se stesse è difficile.

Esistono dei brani, dei pezzi, delle musiche che mi aiutano.

Anche a ritrovarmi.

"Says" di Nils Frahm è uno di questi.



Rientra tra queste musiche.

Ha un calare di tensione molto forte. Rimbomba dentro. Pulsa dentro. Ti sbatte e riattacca al mondo.

A ciò che ti circonda in quell'esatto momento, ricollocandoti però dritta a qualcosa di molto lontano, particolarmente profondo.

Non c'è banalità alcuna se non quella della stupidità umana che è cosi complessa e subdola.

Restare aderente a se stessa è disarmante. La sola corazza che hai, il solo scudo che puoi alzare è la tua dignità. L'onestà spietata che si manifesta quando una vita è sincera.

Accettare, prendersi le responsabilità, elaborare e non finirci dentro, bloccata -dentro queste responsabilità-, è una cosa che sto imparando nei giorni che arrivano.

Più tardi arriverà un'amica, mangeremo insieme. La nostra colazione continuerà sulla tavola di casa mia come se questa potesse essere un prolungamento della tavola dove lei stamattina ha mangiato un biscotto che ha scelto di fare prendendosi del tempo.

Del tempo.

Il tempo.

Tra alcuni giorni un altro pezzettino di cuore tornerà qui a Berlino e noi saremo piene di gioia e loro saranno pien* di orgoglio e pure avremo il tempo.

E un sacco di dignità.

Parleremo insieme tutte di quanto è complesso e spesso inaccettabile restare aderenti a noi stesse ma staremo assieme, ci guarderemo, berremo dalle nostre tazze calde perché l'inverno è così vicino che al mattino usciamo in felpa e maglione pure se al pomeriggio l'estate ci manda un sacco di baci per rimandarci a Marzo.

Io sono felice perché sono nel luogo che ho scelto e i luoghi sono le nostre persone, siamo noi stesse.

(Questo pezzo è dedicato alle mie amiche donne e in particolare a due giovanotte) 


lunedì 14 gennaio 2019

-un'epoca. ed io sono un como'.

L'anno è iniziato di martedì e questo è il secondo lunedì del mese.
Nell'ordine (sparso) -dall'inizio di questo anno- è successo che è morto un uomo con il quale ho avuto una brevissima storia di sesso e amicizia nella primavera del duemilaquattordici, 
per la prima volta, (appena pochi minuti fa) ricevo una telefonata da mio figlio.
Mi ha chiamata da un telefonino che gli è stato gentilmente concesso dal mio compagno per dirmi che al parco ci sono pochi bambini (n.b. nevica) ma che lui ci resterà comunque a farsi due tiri a pallone.
Avrà 8 anni tra un paio di mesi.
Oltre alla morte di questo padre svedese, che nell'attesa di un nuovo cuore, ha lasciato un bambino dell'età di mio figlio e alla fortuna che (io, intanto) ho avuto nella possibiltà di sentire l'emozione della voce di mio figlio che per la prima volta compiva un gesto da adulto, 
dall'inizio di quest'anno, 
è successo che ho ritrovato uno scontrino con data 26.11.2013. 
Stavo rovistando in una Moleskine color senape perché cercavo il passato ai giorni nostri.
(non era per una cena di qualche compleanno di mio padre)
Un scontrino emesso da un registratore di cassa del Clärchen Ballhaus.
Mio figlio, all'epoca (supportate la scelta di "EPOCA" ve ne prego) 
aveva da qualche mese iniziato ad andare al nido.
E non era ancora arrivato alla famosa stagionatura dei 30 mesi.

Io mi accingevo 
(in compagnia di una donna bellissima che da più di un anno mi ha partorito una nipotina che ho da subito deciso di acquisire) 
ad andare ad uno Stammtisch.
Andatevi a cercare cos'è uno Stammtisch perché se mi metto a spiegarvelo poi mi passa la poesia.
E già mi sta passando.
Comunque era solo per dire che STAVO USCENDO.



Stavo andando a questo incontro (ecco: bastava una parola per spiegare),
con questa donna bellissima,
in questa balera berlinese.

Lo scontrino è solo una traccia di quella fuga da casa.
Avevo ordinato un Cosmopolitan.
Credo il primo da quando avevo smesso di allattare quella forma di grana che superava i due anni di stagionatura.
Un bambino biondo oro che ora è moro e si emoziona perché va da solo al parco pure d'inverno.

Cosa ho pensato quando ho saputo che quell'uomo tanto dolce, quanto attento a suo figlio ma anche a me e a mio figlio, era morto?

Ma se io a quello lì mi ci legavo? 
Se succedeva che andare a letto mentre i bambini guardavano i cartoni nel favoloso mondo dei 3enni ci sarebbe piaciuto così tanto da farci una storia?
E se quella storia diventava qualcosa di bello e mio figlio si ritrovava con un papà svedese che poi moriva?
E se io oltre ad una separazione e ad un marito di merda avrei dovuto superare anche un lutto?

Ho benedetto il giorno in cui dissi, tra una confidenza in tedesco ed una in inglese, a quel padre svedese che probabilmente mi ero innamorata di un ragazzo un po' più giovane di me, tredici anni meno di lui e lo svedese, con una foto tra le mani mi disse "guarda com'è giovane!"
"Ed occhio e croce è pure più bello di me!"
"Se sei innamorata di lui, diglielo!"

Meno male che quell'atteggiamento rilassato e maturo, mentre probabilmente stava ancora a letto a toccarmi il culo, non abbia aperto in me spiragli che mi facessero intravedere una vita felice assieme allo svedese che avrebbe parlato fisso in inglese sia a mio figlio che al suo.
Perché, mi continuo a ripetere: "poi, mi sarei dovuta accollare pure il lutto!"

Dalle parole sembro cinica?

Probabilmente alcune cose mi hanno resa tale.
Per la cronaca: mio figlio dal parco è rientrato già da un po' e nel frattempo mi ha anche chiamata una seconda volta.

L'anno è iniziato di martedì.
Oggi è il secondo lunedì del duemiladiciannove 
ed io sto facendo i resoconti del nuovo anno più che di quelli dell'anno precedente che, ahimè, sarà sempre quello in cui mi sono fatta un culo quadrato come una casa e nonostante ciò non sono riuscita ad entrare all'università a Berlino.

Due settimane.

martedì 4 settembre 2018

-da dentro alla stanchezza, di lato alla germania.

Sto qua fuori al ginnasio.
Persa.
Confusa.
Attendo.
Non entro.
Stanca.
Con la voglia di seguire il mio corpo, i miei bisogni.
Con la voce dal sapore che sa di responsabilità.
Incatenata nei dubbi.
Nella paura del giudizio.
Non mi sento mai abbastanza.
Mi leggo.
Provo ad osservarmi da fuori.
Mi rimbomba in testa solo una voce: 

"non impari mai!"

Sono parole mie?
Torno a metà.
Il ginnasio di Pankow è sempre davanti a me.
Immobile.
Lui non si muove mai.
Non è come me.
Mi alzo,
solo con la mente.
Vado verso la strada.
Ritorno sul cammino.
Sempre attenta,
con un occhio al cuore
e l'altro alla voglia di ribellarmi.
Perché dentro ai compartimenti stagni io non riesco a farmi posto.
Io non c'entro.
Non ci entro.

sabato 21 luglio 2018

-femminista repressa.

In questi giorni commentavo un post difendendo *i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori* e mi sono scontrata (purtroppo solo su Facebook) nell'ordine: con un amico Harry Daje, uno sconosciuto, l'ex di una mia carissima amica.
Nell'ordine sono stata: rompi palle,
 permalosa,
 una con due grandi coglioni,
 una da zittire con un "vaffanculo matta!!", 
femminista repressa 
e anche qualche altra cosa. 
Tra le righe, 
questo lo so, 
molto altro.


Sono stati tre maschi. Non me la sento di chiamarli uomini. Proprio no. Nemmeno il mio amico, ahimè. Con tutto l'affetto. Non sento di essere incazzata. Sono piuttosto amareggiata invece. Una cosa accomuna queste tre persone: l'età.
Tante volte mi sono voluta illudere pensando di dover combattere, insieme anche alle mie compagne, solo "i padri".
Ma invece ho scoperto un po' sola, un po' insieme a loro, attraverso il sostegno e il confronto, che anche le nostre madri sono ancora ammalate di maschilismo. Che i nostri fratelli, gli amici e i cugini, sono spesso ignoranti quanto i nostri nonni. Alcune volte, di più.
Le altre donne, non sempre sono cresciute in contesti che hanno loro favorito il confronto e il supporto tra donne.
Sono loro, più di tante altre, a storcere il naso di fronte alle mie ascelle pelose.
Sento gli sguardi pesare. Hanno il sapore dell'incredulità mista a pena. Come se io -purtroppo, secondo loro- rinunciassi, con la mia scelta, alla mia femminilità. È storia vecchia. Magari riuscissi a tenermi anche le gambe pelose. Ma di strada devo farne anche io ancora molta.

domenica 15 luglio 2018

-la Valle della Luna e i ricordi.

Quasi tutte le estati, ma non solo, mi capita di fare foto pazzesche e diventare gelosa di quello scatto che, altro non è, che un ricordo indelebile.
Ho anche iniziato a non scattare nemmeno più.
Per conservare nella memoria.
Ancora più forte. 
Piccolissimi pezzetti di vita che riusciamo, negli anni, a mutare.
Tutte quelle volte che, con gli occhi della mente, un'immagine diventa ricordo.
C'è mio padre che, ogni mattina, per  due mesi, nel '96, mi ha portata con il cannotto, le nostre maschere con i boccagli e le pinne a guardare i pesci, sull'isoletta di Lanta Bay a Ko Phi Phi.

[ "Valle". Capo Testa. 
Luglio '18. Serena Palomba]

Domani ci sarò io che tengo Vincenzo, in equilibrio, e con lui mi butto in mezzo a quella Valle marina di un immenso blu turchese.
Lui che mi tocca, mi dice che sono comoda, per appoggiarsi, quando è stanco di nuotare.

sabato 30 giugno 2018

-poesia moderna.




quella situazione in cui ti butti dal caffè alla valeriana 
e viceversa,
che c'hai da giorni e giorni,
davanti agli occhi, 
quattro 
cinque
e poi sei
formulari online, 
per diverse candidature universitarie
a numero chiuso, 
perché sei stata una capra a scuola 
e stai pagando le conseguenze
perché qui è tutto* a numero chiuso,
quella situazione in cui dalla valeriana passi al caffè,
e viceversa.