venerdì 18 dicembre 2015

-sull'albero, intorno al natale e dentro a cose varie.

Ah, e comunque questo è il nostro albero di natale.
Volevamo rassicurarvi sul fatto che ce l'abbiamo anche noi.
Cioè, a dire il vero, ero io a volervi rassicurare.
Perché Lorenzo dice che a lui non interessa.
Che sono io quella che fa le foto, e le pubblica, e si deve mostrare, e deve far vedere.
Insomma, lui è solo una povera vittima.
Viene coinvolto dal mio esibizionismo spropositato.
La candela comunque, non l'ho accesa per la foto.
Lui più tardi torna e so che per lui le candele stanno alla casa come per un emigrato l'odore del caffè di mammá al mattino.
Credo di aver sbagliato la similitudine.
E non ho fatto nemmeno la foto in sé per i social.
Cioè: un poco si.
Alzi la mano chi l'ha scattata per stamparla e metterla nell'album dei ricordi.
Io intanto mi sono pentita di non aver fatto un selfie al mio compleanno perché mi sarebbe piaciuto tenere incorniciata a casa una foto per ricordare la serata.
Perché ogni persona che è venuta ad abbracciarmi, quella sera, mi ha resa immensamente felice.
Insomma: volevo ricordare io.
Non mostrare.
Ma poi mi sono resa conto che è restato tutto stipato tra i ricordi belli.
Mi sa che spesso quello che fotografiamo e siamo smaniosi di condividere con gli altri, lo dimentichiamo prima.
O forse perde di valore.
E comunque noi poi le lucine non le abbiamo più messe.
Ma stasera, dopo praticamente due settimane che abbiamo fatto l'albero, ho pensato bene di mettergli su anche i fili d'angelo dato che li ho comprati.
E si, ho pensato che potevo anche fare la foto.
Anche quello ho pensato.
Domani noi festeggiamo un piccolo natale.
Noi tre.

Noi tre che non siamo una famiglia di sangue ma che sono sicura che una persona a me cara, mi direbbe che Gesù non è stato cresciuto dal suo papà.
Perché sí, in  effetti, Giuseppe si è -come dire- preso carico di una donna e del suo bambino.
E se non erano una famiglia loro.
Chi?
Chi mi conosce un po' sa che non volevo proprio andare a parare nel (sul?) religioso.
Chi mi conosce meglio, sa che sicuramente avevo iniziato a scrivere per dire ben altro.
Io vi dico che dopo aver visto la foto scattata mi sono resa conto che stavano uscendo un sacco di cose.
Che volevano uscire insomma.
(È da un po' che questo avverbio lo ripeto spesso. Proprio di frequente che poi -insomma- non è niente di speciale).
E poi mi sono stancata.
Vogliatevi bene.
Sempre. Datevi più baci che potete.
Sempre.
Sempre, sempre.

mercoledì 11 novembre 2015

-le estati e le mancanze.

Lo scatto di Anna Morosini.
Quello da cui sono colpita è il susseguirsi dei gesti che sono stati svolti per arrivare a quello sporco conservato sotto ai piedi.
Sono immediatamente trascinata sulla terra con alcuni sassi piccoli e fastidiosi, sparsi dove non tutti fanno caso e tra i quali io ero -e sono- bravissima a destreggiarmi.
Spesso non lavavo i piedi nemmeno per andare a dormire.
Erano sporchi solo di terra.
Poi si seccava.
Non lasciava tracce eccessive.
La mattina dopo tornavo a fare le stesse cose.
A schivare gli spruzzini che alcune volte giravano impazziti e bagnavano quasi sempre alle stesse ore i pezzi di strada ma anche il prato che dovevo attraversare.
Nessuno mi ha mai obbligata ad indossare dei sandali.
Era così naturale che camminassi scalza che probabilmente nemmeno pensava di chiedermelo.
È andato avanti per anni.
E non ero sola.
Avevo delle compagne con me.
Diverse ma entrambe con la manifesta attitudine a non portare le scarpe finché fosse stato possibile.
A settembre veniva difficile un po' a tutte chiudere i piedi, quando pioveva troppo, si avvicinava l'inizio della scuola e diventava indispensabile sia acquistare del materiale per questo inizio sia farlo in un centro commerciale.
Poi sono passati proprio i tempi della scuola.
A mio figlio che è arrivato troppo presto ho cercato di far capire che se voleva essere una squadra insieme ad una che se l'era tenuto nonostante l'arrivo prematuro perché già troppo piena d'amore verso un paio di cellule, doveva imitarmi un po'.
Ma poi è successo che abbiamo scelto Berlino.
Io quando posso tornare in Sardegna non gli suggerisco le scarpe ma lui non ha potuto imparare a destreggiarsi bene tra quei sassi di cui parlavo all'inizio.
Ed è brutto vedere una madre scalza accompagnata da un bambino con le scarpe.
Io gli ho spiegato che deve imparare e basta.
Perché se il piede si fa male un po', ha sempre e comunque la possibilità di far formare un callo che lo protegge.
E aquisisci una libertà che non dipende da niente e nessuno.
Poi smette anche di fare male.

giovedì 22 ottobre 2015

-sottrazioni.

Il fatto è che non sto cercando proprio niente. Guardo e basta. Lascio scorrere. Mi soffermo su qualcosa. Resto interessata da alcune immagini. Ma non cerco nulla. Non sto cercando assolutamente nulla. Da giorni. Da mesi. 
Pensavo di tornare indietro di un pochetto. Inseguire certe cose semplici che racchiuderebbero un'interessante sfida. Però in realtà non so bene come fare. Non conosco ancora la modalità che potrebbe funzionare. Sicuramente mi manca ascoltare la musica dalle cuffie mentre attraverso i luoghi. Eppure quando ci sei dentro pensi che possa essere indispensabile. E comunque c'è qualcosa che non quadra, Sicuramente. Mi pare che sia davanti ai miei occhi ma io resto cieca. Oserei dire essere semplicemente un ramo secco.
Poi intanto sogno natura che sa di mare e luoghi dove mettere sotto la testa e scambiare parole in italiano. Non sto osando. Per niente.
Sono pretenziosa come sempre.
Mio padre direbbe "scarta, scarta, e vai a fernì ca' cap rint 'o scart".
Mi sa che così è successo.
Anche se non dovrei. Insomma: non dovrei dirlo perché ci sono un paio di cose che mi vanno particolarmente a genio.
Ma comunque come si fa ad andarsene?
Come si fa a restare?
Si fa tutto allo stesso modo.
A me stasera è piaciuto quello che ha scritto Slavina rispetto al voler essere una donna libera, così libera da non farsi aiutare nemmeno con la valigia.
E naturalmente mi sono letta dentro a quelle parole.
Però ora non c'entra.
Non c'entra perché sento come se dentro avessi della rabbia che non riesco a ricondurre recisamente a nessuno. Eppure questa presenza ingombrante mi disturba parecchio.
E so che dipende da me. Riconosco che posso io e solo io decidere cosa fare e dove andare, e cosa lasciare e quanto prendere ancora.
Ma pare che io cerchi sempre più spesso di spogliarmi.
I miei capelli parlano chiaro.
I peli delle mie gambe un po' meno, Ma il concetto essenzialmente è chiaro.
Si, voglio spogliarmi. Spogliarmi ancora di un sacco di cose. Poi mantenere i capelli puliti e corti. Come un soldato. Non perdermi in chiacchiere. Pagare i debiti. Chiarire le cose. Trentino farebbe così. Io naturalmente non sono Trentino e non voglio esserlo però uno spunto potrei prenderlo e male non mi farebbe,
A dire il vero credo che se avessi avuto il piacere di fare la conoscenza di Gennaro, ora anche a lui starei pensando e probabilmente da lui mi lascerei anche ispirare.
Mi piace molto mangiare altrimenti l'anoressia sarebbe un modo interessante per spogliarmi. Per dimagrir-mi. Per levare.
Interessante restare a pensare la fonte di tutto questo bisogno di sottrazione.
Sicuramente non mi dispiace nemmeno un po'.
E da sola sto molto bene.
Contrariamente a quanto faccio pensare.

giovedì 15 ottobre 2015

-quasi presente.

Aprile ci sono.
Maggio salto.
Giugno ci sono.
Luglio salto.
Agosto ci sono.
Settembre salto.
Ottobre volevo dire che mi mancano un sacco di cose.
Che ogni volta che prendo in mano queste pagine penso al desiderio dell'anonimato ma l'anonimato alla fine non lo voglio.
Sono spronata dall'idea di essere letta e mi blocco fin dentro quando ricordo che, si, in effetti sono letta. Letta e conosciuta.
O meglio: riconosciuta.
Scrivo dietro pseudonimo e porto tutto avanti con lo pseudonimo?
Oppure è molto più affascinante sputtanarsi nel profondo?
Sicuramente mi manca luglio.

Mi manca maggio.
Mi manca il sonno che mancava senza mancare.
Sono alla contiua ricerca della chiusura del cerchio.
Non so nemmeno perché continuo a schiacciare il tasto che fa diventare maiuscala la prima lettera dopo il punto se è una cosa che non ho mai fatto.
Stamattina chiedevo il rewind pensando al reset.
basta.
tutto qui.
ah, mi manca me.

martedì 4 agosto 2015

-il gatto G.

se c'è un gatto che mi prende immensamente, 
quello è il gatto G.
è uno di quegli umani che mi sono entrati dentro e che non riescono ad uscire.
etereo.
donna.
infinito.
ricordo il suo profumo di pelle bianca e morbida.

mi piace immaginarmi mentre scappo con il gatto G. tra le strade.
rubo il cucciolo e lo alleviamo insieme.
quel gattaccio sarebbe una madre perfetta.
come me.

martedì 23 giugno 2015

-flusso #1

perdi le abilità.
stai curva su una sedia che è diventata sgabello.
pensi alle cose che ti spiega.
come funziona la musica.
perché per te è davvero come se lui conservi il sapere di tutto quello che non sai.
io non conoscevo certe musiche.
tu dici una traccia in un attimo come se ce l'avessi avuta lì dalla mattina appena sveglio,
sulla punta della lingua.
resto sola.

volevo parlare solo di questo.
 e naturalmente di molto altro.
tu con me.
tu con me che resti.
che a dire il vero siamo noi.
sapevamo.
siamo entrambi delle stesse speranze?
tra pochi giorni siamo compagni.
io devo tornare ad un anno fa e capire dove ho toppato.
il bisogno di scrivere ascoltando sarà come quello scritto di dicembre che ti ha fatto ingelosire.
ma sapevi che era un bisogno.
torno indietro.
il soppalco c'è.
io so fare solo le cose di flusso.
so sperare solo quando cala il sole.
rubo la bambina.
la porto da me.
ritorno a comprare cose da succhiare nonostante gli anni maturati.
seppure pochi.
forse dovevano succhiare di meno.
hanno fatto finta di essere fratelli e guardali ora.
tu mi hai detto che la bambina non l'avresti rubata.
ma io infatti non l'ho rubata.
mi è stata data.
vorrei incontrarla ancora tra vent'anni e sapere cos'è stato di lei.
se ricorda.
io ricordo.
vivo qui solo perché si sente la disperazione del mondo in mezzo alla gente.
di notte mi piace di più.
quando si sente di più.
non posso assentarmi.
sono dipendente da questi luoghi.
accetto la pioggia e vedere che ride piccolo a giugno sotto un grande ombrello e dentro ai suoi Viking.
cambio tavolo.
le spalle dolenti.
la posizione curva.
si deve solo sentire la mancanza di certe cose per andare a riprendersele.

mercoledì 8 aprile 2015

-In-filtrandosi.

Continuo ad essere conscia di quanto sia estremamente difficoltoso.
Voglio parlare sempre meno di me.




[Helmut Newton - Shooting]
Di meno.
Giorno dopo giorno.

Ho già fondato, 

con L., 
un blog anonimo per sopperire al bisogno di riportare ogni sensazione.
Anche la peggiore.
Per poter dare fuoco a questo nuovo blog dovrei creare uno scopo.
Non c'è.
Quando parlo di fuoco, io parlo di aria.
Ci sono ottime possibilità che io non abbia temi.
Ch'io non sia in possesso di tematiche da sviscerare.
Potrebbe anche mostrarsi l'evento per cui io, in effetti, non abbia la voglia.
Di argomentare.
Solo fluire.
Perdermi.
Nell'augurio che qualcuno possa trovarsi qui in mezzo, filtrandosi.
In-filtrandosi.