sabato 21 luglio 2018

-femminista repressa.

In questi giorni commentavo un post difendendo *i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori* e mi sono scontrata (purtroppo solo su Facebook) nell'ordine: con un amico Harry Daje, uno sconosciuto, l'ex di una mia carissima amica.
Nell'ordine sono stata: rompi palle,
 permalosa,
 una con due grandi coglioni,
 una da zittire con un "vaffanculo matta!!", 
femminista repressa 
e anche qualche altra cosa. 
Tra le righe, 
questo lo so, 
molto altro.


Sono stati tre maschi. Non me la sento di chiamarli uomini. Proprio no. Nemmeno il mio amico, ahimè. Con tutto l'affetto. Non sento di essere incazzata. Sono piuttosto amareggiata invece. Una cosa accomuna queste tre persone: l'età.
Tante volte mi sono voluta illudere pensando di dover combattere, insieme anche alle mie compagne, solo "i padri".
Ma invece ho scoperto un po' sola, un po' insieme a loro, attraverso il sostegno e il confronto, che anche le nostre madri sono ancora ammalate di maschilismo. Che i nostri fratelli, gli amici e i cugini, sono spesso ignoranti quanto i nostri nonni. Alcune volte, di più.
Le altre donne, non sempre sono cresciute in contesti che hanno loro favorito il confronto e il supporto tra donne.
Sono loro, più di tante altre, a storcere il naso di fronte alle mie ascelle pelose.
Sento gli sguardi pesare. Hanno il sapore dell'incredulità mista a pena. Come se io -purtroppo, secondo loro- rinunciassi, con la mia scelta, alla mia femminilità. È storia vecchia. Magari riuscissi a tenermi anche le gambe pelose. Ma di strada devo farne anche io ancora molta.

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