giovedì 9 novembre 2017

-ricordo #1 / 1997

Ricordo quando mia madre aveva la Renault 4.
Bianca.
Ci portava al mare tutti.
Lei andava a lavorare ma ci portava comunque tutti al mare.
Mia madre è una con due ovaie grosse.
Belle grosse.
Me ne accorgo ora che sono madre anche io.
Me ne accorgevo già 10 anni fa quando quella Renault 4 lei se la caricava da sola a inizio giugno e se la scaricava -sempre da sola- a metà settembre.
Ed io e mia sorella con lei.
Ma senza il peso delle responsabilità.
Perché lei ha voluto fare la madre che ti lascia giocare.
Quella del "c'è sempre tempo per fare le cose dei grandi e per scoprire che il mondo è -ANCHE- una merda".
Non diceva proprio così.
Da mia madre le parolacce non le ho mai sentite.
Quelle le ascoltavo da mio padre ma per lo più dal mio migliore amico.
[un amico che sognavo essere il mio gemello.]
Forse perché mi sentivo sola.
Forse perché avevo bisogno di un compagno e della consapevolezza che questo non potesse abbandonarmi.
Perché gemello.



E comunque mia madre ci portava al mare con la sua Renault 4 grazie alla quale, all'età di circa 7 anni, mi graffiai profondamente la schiena per recuperare qualcosa finito sotto al sedile del guidatore.
Ricordo addirittura che forse eravamo a Cannigione.
Sicuramente eravamo fermi.
Ricordo che mia madre non c'era.
E anche che con me c'era un'amica o forse un amico.
Mi piace pensare che mia madre si fosse fermata un attimo, di fretta, velocemente, a comprare i ravioli ricotta e spinaci al negozio di pasta fresca dalle donnine sarde.
E sento viva come ieri la sensazione.
Quella del taglio sulla schiena.

mercoledì 8 novembre 2017

-dove non sono mai stata.

Mi hanno invitata ad andare con loro. Sento la pesantezza dei loro corpi sul mio. Mi accorgo che sono tanti dalle voci che sento. Ho distinto due voci di donna e almeno altre due di uomini. Una é del mio ex marito e non posso confonderla. 
Ma ha imparato la loro lingua e la sua voce prestata a questa lingua slava sembra quasi dolciastra. Tanto dolciastra da farmi venire la voglia di mangiarla. 
Metterla direttamente dentro la bocca.
Parla molto. Come non ha mai fatto prima. Non ha fatto altro che ricollegarsi dopo ventotto anni ad una lingua che ha imparato addirittura a scrivere e che a nove anni ha dovuto iniziare a dimenticare. 
Adesso, a quasi quarant'anni, sembra quasi un vecchio.
Me lo dice la sua mano. La sento gonfia. Le vene scoppiano. A tratti sento molto caldo. Ed é umido. Pesantemente umido. Strigo la sua mano forte. É salda. Mi sento al sicuro. Lui ha preso lo stesso odore  di quelle altre persone. Quella pesantezza mi aggancia perché sta nei loro corpi, in quello che probabilmente mangiano.
Nell'esalazione che i loro movimenti rilasciano. 
Inizio a sentire la musica sempre piú forte. Riconosco i tamburi. Il loro palpito. C'é anche fisarmonica. Se non é una fisarmonica non so cos'altro potrebbe essere.
É un suono che sento solo quando iniziamo ad avvicinarci.
Dicono che siamo quasi arrivati. A me sembra di stare camminando da ore. I piedi fanno male dall'esterno. La strada é scoscesa. Mi sembra sempre di essere ad un passo da un dirupo. Inciampo spesso. Lui peró non mi ha lasciato la mano nemmeno un secondo. Mentre camminiamo, alcune volte, il piede di Vincenzo mi urta la testa oppure una spalla. Deve essersi addormentato. Il suo corpo ha acquisito la pesantezza di quelle persone che hanno il suo stesso sangue. Il suo e quello di suo padre. Sento un calore fortissimo e sembra essere arrivato insieme alla musica. Sono sempre le note della fisarmonica. É un posto magico. Me ne accorgo subito. Sento quasi caldo. Stavo gelando un attimo prima.E adesso sento caldo. Un ginocchio quasi scotta. Se mi sposto sento che c'é un limite. Questo fuoco fa molto rumore. Schricchiola. Hanno smesso tutti di parlare. Finalmente gli lascio la mano. Ho bisogno di spogliarmi. Mi metto per terra e sento l'odore della terra che in dei punti é piú bagnata. C'é un piccolo tronco forse. Cambiano musica. Diventa piú forte. Sento quasi un urlo. Sento ancora di piú la fluiditá di quella lingua. Hannno iniziato a parlare. Sa di miele. Sembra che parlino quasi a scatti, ma cantando. L'odore dei loro corpi si mischia con quello dei cibi. Mi sembrano le cipolle con la carne. E quel miele delle parole assomiglia alle patate. Ho una fame nera. Non so chiedere da mangiare. Ho anche sete. Mi dicono qualcosa e dopo poco ho una scodella in mano. Il vapore mi pervade e mi bagna la faccia. L'odore di patata mi fa sentire lo stomaco che gorgoglia. Appena mi sposto sento freddo. Forse é per questo che puzzano. Passano in continuazione dal caldo al freddo. Mi sta facendo male il culo a stare su questo tronco. Il mio culo é diventato una pietra gelata. Appoggio i piedi da qualche parte. Quel miele mi travolge. Mi piace il tono che utilizzano. Ogni parola che dicono, ondeggia. C'é un'umiditá pazzesca. La sento nel naso. Mi cola. La carne ha un sapore fortissimo. Se sposto troppo i piedi, me li scotto. Le voci delle donne ora sono piú lontane. Le sento che ballano.

[da un esercizio del laboratorio di scrittura creativa: immagina di stare in un luogo sconosciuto e di non avere l'uso della vista. Non sei cieco, semplicemente non esiste la luce.]

sabato 28 ottobre 2017

-inverni.

10° con vento, rovesci e tanta umidità ma soprattutto con la percezione di 1°, servirebbero dei guanti, è quasi buio, io sto uscendo solo ora da casa dopo un ammontare di ore percepito infinito, ho scazzato con il mio compagno, sto andando da sola a vedere una proiezione al porno film festival, con "tag" gay -pensata tra l'altro proprio lui- e questo inizio di inverno non mi appare poi così spiacevole.


martedì 20 giugno 2017

-flusso #2.

É successo di nuovo.
Dopo tantissimo tempo.
Tocchi il fondo presa dalla merda.
Non mi metto le cuffie perché lui citofona ed io non lo sento.
Ma senza mi concentro meno.
Se peró so di non sentilo, é un casino.
È succeso di nuovo.
E quando succede mi devo buttare.
Ho un anello che vale una fortuna.
Mia madre é riuscita a farci sentire delle regine.
Surgilite.
Mi serve l'alienazione che sento a lavoro nel suono ma con il privilegio di ora che mi permette di fare quello che sto facendo.
Penso: vado fuori. Lo avviso. "Mamma lavora ad una cosa importantissima!".
"Avró le cuffie, non ti sentiró".
E giá lo vedo che si impanica.
Ho comprato questa barzelletta molti mesi fa, con qualche soldo che potevo spendere, per fare quello che sto facendo ed é la prima volta che pare che tutto sia dove deve stare.
Pare perché mancano le cuffie.
Devo seguire il flusso.
Ma se rischio penso che come ogni volta che giá lo ha abbandonato il padre e che mettermi le cuffie significherá un ennesimo abbandono.
Hai visto quanto si puó arrivare ad imparanoiarsi?
*
Tornato.
Distolta.
Ora ho le cuffie.
Distolta.
Ora ho le cuffie.
Lui é in casa e penso che non ce la potró mai fare.
Come quando salgo le scale di Storkower alle 13 e si percepiscono 33 gradi.
Infatti non ce la faccio.
Ecco, abbiamo scazzato.
No, in realta ho scazzato io e basta.
Lui ha solo 6 anni.
Si limita solo ad ammazzarmi.

mercoledì 23 novembre 2016

-Ho tempo 38 giorni.

Oggi ho letto il secondo libro dell'anno.
L'ho finito, e ho pianto.
Oggi è finito quasi novembre e un libro è pochissimo.
Oggi, come sempre, il libro è finito ed io ho pianto.
Però non potevo piangere molto.
Perché ero in tram.
Ma piangevo perché fatico a trovare amici anche e soprattutto nei libri.
Oggi ho finito un libro dove anche qui c'è Diego.
È un altro Diego.
Ma gli uomini di nome Diego nei libri mi fanno sempre piangere.
Però questa volta mi ha fatto piangere di più Antonia.
Spero che mia figlia Antonia, non mi faccia piangere come quella del libro.
O almeno: non questo mese.
Magari a Maggio.
Perché i desideri si realizzano in modo ordinato: uno ogni due mesi.
E il mese di Novembre *era* quello della pace nel mondo.

mercoledì 14 settembre 2016

-Thanatos prende ancora il sopravvento.

[Egon Schiele]


Thánatos, dal greco θάνατος,"Morte".

Intorno a noi.

Quotidianamente.

Lontano, lontanissimo, vicino e 

improvvisamente vicinissimo.

Vi ricordate quando negli anni ´60 si chiedeva di fare l´amore e 
di non fare la guerra?
Il concetto e´lo stesso. Non differisce in maniera eccessiva da quello di Marcuse passando per Empedocle e il piü sputtanato Freud.

(Si, al momento ho solo la tastiera tedesca. E fremo. Di scrivere. Non so cambiare questo processo di inserimento)

C´e´una battaglia ancestrale della quale (probabilmente da sempre) siamo vittime.
Con questo non giustifico la natura.
La natura delle cose e la fisiologia.
Dico vittime perche´e´quello che accade.
Tenendo da parte per un attimo le scelte che ogni giorno decidiamo di compiere.

Ecco: viviamo ogni giorno la battaglia tra eros e thanatos.
Nostra personale e del mondo intero.

Eros e´una parola sputtanata. Cosi come Freud e´un pensatore sputtanato.
Molto spesso la parola eros viene usata impropriamente.
Scritta, pronunciata.

Di thanatos quanto, viene detto?`

Parliamo di morte, di morti, di assasini, di suicidi, di guerre, di tantissime guerre.
Parliamo un po´di tutto quello che la rete ci propone.

Perche´parliamoci chiaro: quanto, viene proposto da un libro appena finito di leggere?
Quanto da un´esperienza speciale che abbiamo avuto la fortuna di vivere?

Parliamo, scriviamo, commentiamo, condividiamo.

E quand´e´che facciamo l´amore?

Quando diamo la possibilitä al 

nostro eros di manifestarsi?

Mi leggono amici -per lo piü- e

so 

che molti sono consapevoli di 

quanto l´eros non sia solo 

relegato all´ atto sessuale.

Quanto ogni giorno diamo spazio 

ad 

eros affinche´ thanatos venga 

messa da parte?



Mi piacerebbe leggere di piü di un mondo che cambia verso la ricerca dell´eros e che spinge via il desiderio di guerra, di morte.

Perche´ la guerra si fa quando l´eros viene represso.
Quando il potere che tende alla vita viene tenuto a bada.

Potrei raccontare di re e di regine,
di Anna Bolena e del divorzio,
dei Montecchi e dei Capuleti,
delle Streghe e dei loro roghi,
del matriarcato,
allargare il concetto al maternage.

Mi piacerebbe essere pagata per scrivere.
Mi piacerebbe piü che altro potermi mantenere con quello che amo.
Quel giorno arriverä anche per me.
Il giorno in cui mi daranno dei soldi per scrivere ed io con quelli potrö vivere grazie alle mie pulsioni.

Sono protratta verso la vita.
Aspetto un´altro figlio.
Lo aspetto nei miei pensieri perche´aspetto il momento in cui noi decidiamo che questo possa manifestarsi.

Combatto la mia battaglia a favore della vita ogni giorno.

Ascolto "lu ruciu te lu mare", una storia salentina cantata.
Racconta della figlia di un re che si da alla morte.
La figlia. La donna.
Ma "idda se da alla morte j eu alla vita".

Oggi, leggiamo qualcosa che non arriva direttamente dai social network?


Buona lettura.
E grazie.

Da quando ho iniziato a scrivere penso chiaramente a quella donna di cui si parla tanto oggi e che, nella cittä nella quale sono nata io, ha (forse dovuto) scegliere thanatos.
Che possa insegnarci una nuova via per amare.
Tiziana.

venerdì 18 dicembre 2015

-sull'albero, intorno al natale e dentro a cose varie.

Ah, e comunque questo è il nostro albero di natale.
Volevamo rassicurarvi sul fatto che ce l'abbiamo anche noi.
Cioè, a dire il vero, ero io a volervi rassicurare.
Perché Lorenzo dice che a lui non interessa.
Che sono io quella che fa le foto, e le pubblica, e si deve mostrare, e deve far vedere.
Insomma, lui è solo una povera vittima.
Viene coinvolto dal mio esibizionismo spropositato.
La candela comunque, non l'ho accesa per la foto.
Lui più tardi torna e so che per lui le candele stanno alla casa come per un emigrato l'odore del caffè di mammá al mattino.
Credo di aver sbagliato la similitudine.
E non ho fatto nemmeno la foto in sé per i social.
Cioè: un poco si.
Alzi la mano chi l'ha scattata per stamparla e metterla nell'album dei ricordi.
Io intanto mi sono pentita di non aver fatto un selfie al mio compleanno perché mi sarebbe piaciuto tenere incorniciata a casa una foto per ricordare la serata.
Perché ogni persona che è venuta ad abbracciarmi, quella sera, mi ha resa immensamente felice.
Insomma: volevo ricordare io.
Non mostrare.
Ma poi mi sono resa conto che è restato tutto stipato tra i ricordi belli.
Mi sa che spesso quello che fotografiamo e siamo smaniosi di condividere con gli altri, lo dimentichiamo prima.
O forse perde di valore.
E comunque noi poi le lucine non le abbiamo più messe.
Ma stasera, dopo praticamente due settimane che abbiamo fatto l'albero, ho pensato bene di mettergli su anche i fili d'angelo dato che li ho comprati.
E si, ho pensato che potevo anche fare la foto.
Anche quello ho pensato.
Domani noi festeggiamo un piccolo natale.
Noi tre.

Noi tre che non siamo una famiglia di sangue ma che sono sicura che una persona a me cara, mi direbbe che Gesù non è stato cresciuto dal suo papà.
Perché sí, in  effetti, Giuseppe si è -come dire- preso carico di una donna e del suo bambino.
E se non erano una famiglia loro.
Chi?
Chi mi conosce un po' sa che non volevo proprio andare a parare nel (sul?) religioso.
Chi mi conosce meglio, sa che sicuramente avevo iniziato a scrivere per dire ben altro.
Io vi dico che dopo aver visto la foto scattata mi sono resa conto che stavano uscendo un sacco di cose.
Che volevano uscire insomma.
(È da un po' che questo avverbio lo ripeto spesso. Proprio di frequente che poi -insomma- non è niente di speciale).
E poi mi sono stancata.
Vogliatevi bene.
Sempre. Datevi più baci che potete.
Sempre.
Sempre, sempre.